Il costo per la conservazione
e lo smaltimento definitivo del materiale radioattivo (la "messa in
sicurezza") Il
costo per la conservazione delle scorie nucleari è enorme: secondo
stime fatte nella seconda metà degli anni Novanta, solo per
incapsulare e disporre in condizioni di sicurezza le scorie ad alto
livello di radioattività, si dovranno spendere negli Stati uniti oltre
110 miliardi di dollari (al valore del 1996); in Canada, 9,7 miliardi;
in Francia e Germania, rispettivamente oltre 7 e 5 miliardi.
La soluzione del problema non è facile, data l'opposizione delle
popolazioni allo stoccaggio delle scorie radioattive sul proprio
territorio. C'è chi propone un unico sito in cui stoccare tutte le
scorie e chi, invece, propone di ripartirle in più siti. C'è anche chi
propone di inviare le scorie più pericolose in qualche paese
disponibile a tenerle, naturalmente dietro forte compenso. Tale
ipotesi viene però respinta da altri, in base alla considerazione che
ciò significherebbe esporre a rischio le popolazioni di questi paesi.
C'è inoltre da tener conto del fatto che lo "smaltimento" delle
scorie radioattive è divenuto un lucroso affare per società senza
scrupoli, che si occupano di esportare le scorie nei paesi più poveri
senza le necessarie misure di sicurezza o di collocarle in contenitori
che vengono gettati sul fondo del mare, con gravi conseguenze
ambientali e sanitarie.
Il problema, ancora irrisolto ed economicamente molto oneroso, è
dove conservare in condizioni di sicurezza la crescente quantità di
scorie radioattive prodotte dagli impianti nucleari, che restano
altamente pericolose per secoli e millenni.
Negli Stati uniti, è stato deciso nel febbraio 2002 di concentrare
le scorie radioattive in un unico deposito sotterraneo, che sarà
costruito sotto il Monte Yucca (Nevada meridionale, 160 km a
nord-ovest di Las Vegas). Nei suoi tunnel saranno conservate, in oltre
11000 contenitori, 70000 tonnellate di scorie radioattive (63000
provenienti da centrali elettronucleari e 7000 da impianti nucleari
militari).
Il costo e la complessità dell'operazione sono enormi. Solo per gli
studi preliminari del terreno e il progetto sono stati spesi circa 7
miliardi di dollari; per la costruzione del deposito, si prevede una
spesa di almeno 58 miliardi di dollari.
Si tratta poi di trasferirvi il materiale radioattivo, attualmente
conservato in 131 depositi sotterranei distribuiti in 39 stati: per il
trasporto occorreranno 4600 treni e autocarri che dovranno
attraversare 44 stati.
I critici del progetto, soprattutto rappresentanti dello stato del
Nevada e ambientalisti, sostengono che, quando il deposito sarà
ultimato (con tutta probabilità dopo il 2010), si sarà accumulata, al
ritmo di circa 2300 tonnellate all'anno, una quantità tale di scorie
radioattive da richiedere la costruzione di un altro deposito.
Sostengono inoltre che, in base a studi scientifici effettuati da
commissioni non-governative, sarà impossibile impedire a lungo termine
infiltrazioni di acque sotterranee nel deposito. [1]
La spesa per costruire
[eventualmente] il bunker nucleare di Scanzano Jonico peserà sulla
bolletta degli italiani per i prossimi 18 anni: si tratta di circa
100-110 euro per ogni utente, da pagare fino al 2021 attraverso un
mini-prelievo sulle tariffe che servirà per finanziare la
costruzione del deposito delle scorie ma anche i costi per il
decommissioning e della messa in sicurezza delle quattro centrali
chiuse nel 1987. In tutto sono pochi centesimi di euro (lo scorso
anno [cioè nel 2002] erano 0,06 centesimi per kilowattora, ma la voce
viene aggiornata periodicamente) al capitolo "Oneri generali di
sistema".
Tradotto in cifre, significa circa 5-6 euro per ogni utente, che
diventano oltre 100 euro al termine del periodo previsto dalla legge.
In realtà, questa sorta di "nuclear
tax", gli italiani la stanno già pagando da due anni e precisamente
dal maggio del 2001, quando un decreto del governo Amato ha previsto
questo prelievo, quantificando in oltre 3,3 miliardi di euro al 2021 i
costi per mettere in sicurezza gli 80 mila metri cubi di scorie frutto
dell'attività nucleare: smantellamento delle centrali, combustibile
irraggiato, rifiuti da industrie e ospedali. Fra il 2001 e il
2021, dunque alla voce "uscita dal nucleare" andranno oltre 3,3
miliardi di euro. La stima potrebbe però lievitare, per effetto di
lavori aggiuntivi in corso d'opera, costringendo l'Autorità
dell'Energia -che decide le tariffe elettriche- ad aumentare il
prelievo per la messa in sicurezza del nucleare. Secondo le prime
stime, il deposito da realizzare nella miniera di sale di Scanzano,
dovrebbe costare sui 500 milioni di euro. Ma alcuni esperti paventano
un costo fino a 1-2 miliardi per eseguire i lavori, il trasporto di
materiali pericolosi ma anche i test e gli studi per valutare
l'idoneità del sito.
La "nuclear tax" versata attraverso
le bollette, viene dalla Cassa Depositi e Prestiti "girata" alla Sogin,
- la società ex Enel, oggi detenuta al 100% dal ministero
dell'Economia - che deve gestire le operazioni di uscita dal nucleare.
Sogin investe questi proventi in buoni del Tesoro, pronta a
utilizzarli quanto serve. Secondo fonti del settore, oggi sarebbero
già disponibili circa 700 milioni di euro. Fondi che servono anche
per il trasporto delle scorie più pericolose in Gran Bretagna, a
Sellafield, dove si trova uno dei pochissimi impianti al mondo in
grado di eseguire le delicatissime operazioni di trattamento del
combustibile irraggiato. In aprile ha preso il via una maxi-operazione
di trasferimento che durerà più di un anno e costa, per il solo
trasporto Oltremanica, 15 milioni di euro cui si aggiunge quello del
riprocessamento del materiale radioattivo.
In realtà, il "conto" per l'addio al
nucleare sulle tasche degli italiani è già pesato per una cifra
colossale, più del doppio dei 3,3 miliardi previsti nel 2001 che
verranno pagati fino al 2021. Dal 1989, infatti, sempre sulle bollette
elettriche, sono stati prelevati oltre 7,6 milioni di euro (in cifre
rivalutate al 2003 si tratta di circa 9 miliardi e 523 milioni di
euro) come rimborso all' Enel ma anche ad altre società fra cui
l'Ansaldo, per il danno subito con la decisione di abbandonare il
nucleare dopo il referendum del 1987. Si tratta dei cosiddetti "oneri
nucleari" per compensare gli investimenti fatti, le infrastrutture, le
commesse, il costo del combustibile, le turbine, inutilizzati dopo la
"defenestrazione" dell'atomo. Come dire che la breve stagione del
nucleare made in Italy e' costata al paese -oltre a roventi e infinite
polemiche- la cifra colossale di 11 miliardi di euro, poco meno della
Finanziaria 2004. [2]
fonte:
http://www.zanichelli.it/scuola/geografia/dinucci/dic03a.htm
[1]
http://it.news.yahoo.com/031116/201/2j44c.html
[2] |